Translate

mercoledì 15 giugno 2011

Le ricadute? Sulle finanze dei Comuni

Il dado è tratto: anzi, la frittata è fatta, nel senso che i referendum per la prima volta dopo tre lustri hanno raggiunto il quorum, e i sì hanno ovviamente stravinto. La sinistra è ridiscesa in piazza per festeggiare a quindici giorni dai ballottaggi delle amministrative, ma ora dovrà fare i conti con le conseguenze del sì, che saranno devastanti per la gestione di un bene essenziale qual è appunto l'acqua. E' questo il problema dei problemi che la politica dovrà affrontare subito.

Il Pd si è accodato per convenienza politica a chi ha truccato abilmente le carte, facendo passare il messaggio - falso ma efficace - che il sì al referendum ne avrebbe bloccato la privatizzazione. Il risultato, a urne chiuse, è che oggi non c'è una legge italiana sull'acqua. Il decreto Ronchi, ormai abrogato, avrebbe consentito le tre possibili modalità di gestione previste dalla normativa europea: totalmente pubblica, pubblica-privata e, in casi particolari, affidamento diretto ai privati. Non essendo questo più possibile, gli investimenti dovranno farli unicamente o lo Stato o gli enti locali, che non sono certo in condizioni di spendere.

Dunque, o non si faranno più investimenti, o si dovranno alzare le tasse locali. Eppure tutti avrebbero dovuto sapere - Bersani sicuramente lo sa - che in campo idrico quello che serve è un gigantesco piano di investimenti per recuperare i ritardi infrastrutturali e centrare gli obiettivi di politica ambientale che le Direttive Europee ci impongono. Il decreto Ronchi avrebbe svolto proprio la funzione di adeguare l'Italia ai sistemi in atto già in tutto il resto d'Europa, Gran Bretagna e Francia in primis, che prevedono l'intervento di capitali privati.

Oggi nessun sindaco, di destra o di sinistra che sia, è in grado di fare investimenti, pena lo sfondamento del patto di stabilità. Senza avere più la possibilità di ricorrere a risorse private, dunque, chi provvederà alla manutenzione e all'ammodernamento degli acquedotti? Occorre subito una norma che chiarisca il da farsi. Gli italiani hanno bocciato sia un provvedimento del centrodestra, il 23 bis, che una legge del centrosinistra, la remunerazione del capitale chiedendo - probabilmente senza saperlo - il ritorno alla fiscalità diretta dei Comuni e delle Regioni. In concreto, si apre - soprattutto per i Comuni - il problema di come garantire gli investimenti strategici per 740 milioni di euro per i prossimi 10 anni che i sindaci hanno programmato per acquedotti, fognature e soprattutto depurazione, la vera emergenza sulla quale pendono pesanti sanzioni europee se non verranno raggiunti gli obiettivi
prefissati entro il 2015.

Ci sono cantieri aperti o in corso di apertura per centinaia di milioni di euro, lavori urgentissimi e non rinviabili in corso per ridurre l'inquinamento ambientale e migliorare il servizio, ma i referendum sull'acqua hanno creato un vuoto normativo che blocca di fatto le gare non solo per l'acqua, ma anche per i rifiuti e per i trasporti. Questo è il capolavoro concepito dai referendari e sottoscritto dal Pd.

Nessun commento:

Posta un commento